di Mario ed Alessandro Ciarimboli (Fisiatri) e Mirko Russo (Laureando in Fisioterapia)
Il termine Groin Pain Syndrome identifica un insieme di sintomi, in particolare dolore e difficoltà al movimento, riferiti al pube ma non sempre dovuti a patologie che originano da questa regione anatomica.
Il termine groin pain, accademicamente corretto, viene spesso sostituito con pubalgia o athletic pubalgia, o osteite pubica, tutti esprimenti la stessa sintomatologia.
I sintomi più comuni della Groin Pain Syndrome o pubalgia sono il dolore muscolo tendineo all’inguine, dolore all’interno della coscia, dolore all’altezza della sinfisi pubica e alla parte bassa dell’addome.
Naturalmente al dolora si associa la difficoltà nella corsa, nel cammino e nel gesto del calciare o nel salto.
Questo tipo di dolore può essere secondario a problematiche muscolo scheletriche (tendiniti per ripetuti microtraumi a carico dei muscoli dell’interno coscia ed addominali, squilibrio di attività dei muscoli adduttori con squilibrio del bacino e della sinfisi pubica, infiammazione della guaina del retto dell’addome come si verifica nel calciatore per la tensione che il gesto del calciare determina nella porzione bassa dei muscoli addominali).
La stessa sintomatologia può però essere causata da affezioni di tipo neurologico, gastrointestinale, urogenitale e ginecologico.
Spesso si possono verificare più patologie intrecciate tra loro.
Quando si verifica una pubalgia va ben definita la diagnosi con valutazioni cliniche ad ampio spettro che definiscano correttamente l’ambito di trattamento non sempre di esclusivo carattere medico sportivo.
Negli sportivi gli infortuni che coinvolgono l’inguine costituiscono una percentuale compresa tra il 2% e l’8%, con punte del 13% nei calciatori.
Oltre il 50% dei calciatori ha una storia di pubalgia. Il dato sale se si considera il calcio maschile professionistico dove il 14%17% di tutti i giocatori incorre in una lesione all’inguine in ogni stagione.
In particolare, durante la stagione agonistica con numerose partite ravvicinate, il 60 % circa degli uomini riferisce almeno un episodio di dolore all’inguine.
La GPS o pubalgia può avere un andamento acuto o cronico quando la mancata cura della fase acuta determina un protrarsi della sintomatologia ed una sua cronicizzazione con successive gravi difficoltà terapeutiche.
Essa si manifesta prevalentemente in quegli sports in cui sono previsti salti, rapide accelerazioni e cambi di direzione e, soprattutto, calci al pallone.
Ovviamente gli eventi acuti sono facilmente riconducibili ad una problematica muscolo- scheletrica grazie alla storia dell’insorgenza del dolore (per stiramento muscolare, spesso in seguito ad improvviso cambio di direzione o calcio “a freddo”, o contrazione muscolare forzata e prolungata durante l’attività) ed all’assenza di altri segni quali ad esempio il dolore alla palpazione a livello del canale inguinale e a livello dell’addome.
Se vi è lesione muscolare si possono riscontrare, a conferma, ecchimosi, gonfiore muscolare, dolore alla palpazione del muscolo con eventuale sensazione al tatto di zone di interruzione del muscolo.
Decisamente più complessa è la pubalgia cronica, presente da mesi o anni; in questo caso è necessaria una valutazione polispecialistica.
Infatti, i sintomi di diverse patologie sono simili tra loro per presenza di molte strutture raggruppate in una piccola area con possibilità che siano presenti più cause, spesso tra loro correlate.
Oltre il 50 % dei pazienti con dolore cronico all’inguine presenta più di una patologia (urologica, ginecologica, neurologica ecc.).
È pertanto indispensabile che si effettui una rapida diagnosi in caso di un dolore inguinale acuto con cure attente e puntuali per evitare che un prolungamento dei sintomi causi cronicizzazione della malattia stessa. In caso di riscontro di GPS o pubalgia cronica è indispensabile una valutazione clinica e strumentale a 360° per identificare la eventuale concomitanza di patologie di altri organi presenti nella regione e non limitarsi alla esclusiva valutazione di tendini e muscoli.
Ricerche scientifiche hanno evidenziato che vi è una stretta correlazione tra il deterioramento osteo-articolare conseguente a eccessivi carichi di lavoro atletico scorretti e prolungati, effettuati in fase adolescenziale, con ostacolo alla corretta crescita muscolo scheletrica e alla salda formazione delle strutture.
Sappiamo bene che gli atleti professionisti hanno iniziato le proprie attività sportive in età adolescenziale e che non sempre queste sono condotte nei giusti limiti di intensità propri dell’età della crescita.
Se a ciò aggiungiamo che l’atleta professionista è sottoposto a carichi di allenamento sempre maggiori e ad un eccesso di impegni agonistici si comprende bene quanto siano elevati la possibilità di infortuni. In maniera del tutto particolare il rischio di infortuni all’inguine è altissimo in sport come il calcio, il rugby e l’hockey, perché queste attività prevedono movimenti come calciare il pallone ed effettuare rapidi cambi di direzione con conseguente stress a livello della zona dell’inguine. Il calcio, in particolare, è lo sport che maggiormente causa infortuni nelle zone dell’anca e dell’inguine.
Ma quali sono i principali fattori di rischio?
- Precedente infortunio all’inguine, con successiva riabilitazione inadeguata.
- Alto livello di gioco, con allenamenti intensi e frequenti partite.
- Scarso allenamento sport-specifico, soprattutto nella preparazione che precede la stagione agonistica; per ridurre l’incidenza di questo fattore occorre lavorare sullo squilibrio muscolare identificandolo con valutazioni specifiche (elettromiografia di superfice) e favorire il corretto reclutamento muscolare.
- Ridotta forza dei muscoli adduttori dell’anca.
Ruolo del giocatore: sono a rischio i ruoli in cui si calcia più frequentemente il pallone e si eseguono rapidi cambi di direzione.
L’infortunio all’inguine si verifica per un trauma diretto o per una intensa e rapida contrazione muscolare o per microtraumi che si ripetono spesso e si cumulano.
Tra i microtraumi cumulativi più frequenti sono da considerare i movimenti laterali ed i cambi di direzione in cui si intrecciano movimenti di estensione dell’anca, rotazione esterna ed abduzione.
L’evento acuto è al contrario determinato da una rapida attivazione muscolare seguita da rapido allungamento dello stesso muscolo come si verifica nel calciare o nel salto quando si passa molto rapidamente da una posizione di anca estesa ed abdotta ad una flessione ed adduzione con rotazione esterna.
Questo è il meccanismo che causa la lesione acuta degli adduttori. “L’iperestensione della coscia rende il pube un pivot in cui agiscono contemporaneamente gli adduttori in senso caudale e i retto dell’addome in senso craniale, esercitando sul pube forze contrapposte” (Meyers2000).
L’atto del calciare la palla è comunque un gesto molto variabile dal punto di vista tecnico e biomeccanico, perché coinvolge piede, caviglia e un’articolazione molto mobile come l’anca con necessità di una corretta stabilizzazione del bacino e del tronco. La pratica intensa di questo gioco richiede una potente attività dei muscoli che stabilizzano il bacino cioè appunto gli adduttori, con conseguente e frequente insorgenza di tendinopatie degli stessi adduttori (GPS o cosiddetta pubalgia degli atleti).
Ma non solo: infatti la complessità del gesto che coinvolge altre articolazioni ed altre catene muscolari causa frequentemente altre affezioni come tendinopatie del rotuleo, del quadricipite, e lesioni muscolari di quadricipite, ileopsoas e tibiale anteriore,
Ne consegue, se ne comprende facilmente il motivo, che il calciatore per eseguire un buon gesto tecnico deve avere sviluppato e coordinato l’apparato muscolare degli arti inferiori, del bacino e del tronco. I muscoli vanno ì rafforzati ed ipertrofizzati ma anche equilibrati tra loro con adeguata distribuzione dei programmi di allenamento.
Scopo di questa attività è favorire la stabilità corporea prima che inizi il carico del gesto sportivo specifico ed agonistico.
Qualunque attività di allenamento preagonistico va pertanto preceduta da questo lavoro di “stabilizzazione” muscolare e corporea con esercizi che coinvolgano più gruppi muscolari (ginnastica posturale “globale”) e favoriscano allungamento muscolare.
Non necessitano di specifica attrezzatura ma richiedono grande concentrazione nella esecuzione e rispetto di alcune regole: eseguire l’esercizio lentamente e con precisione, evitare lo slancio, mantenere la posizione per 5- 20 secondi, terminare ai primi segni di affaticamento.
La durata complessiva della seduta non deve durare più di 20 – 25 minuti.
Tutto ciò è avvalorato da numerosissimi studi scientifici con proposte di protocolli di preparazione atletica che costituiscono l’unica valida attività preventiva per la GPS.
Per quanto riguarda la cura dell’evento acuto sicuramente abbiamo prove che il dolore all’inguine collegato agli adduttori, il più comune tra gli sportivi, benefici di una riabilitazione attiva che si traduce, infatti, in una maggiore percentuale di atleti che ritorna a giocare, rispetto agli atleti che svolgono esclusivamente trattamenti passivi.
Dal 50% al 75% circa degli atleti con dolore all’inguine legato agli adduttori torna ai livelli di attività precedenti l’infortunio, senza avere più dolore, utilizzando un approccio basato sull’esercizio terapeutico (Holmich et al., 1999; Weir et al., 2011).
È indicato abbinare riabilitazione attiva a trattamenti passivi. Infatti, questi ultimi, in aggiunta all’esercizio terapeutico, come la terapia manuale o la terapia con le onde d’urto, sembrano accelerare il ritorno all’attività agonistica. (Schoberl et al., 2017; Weir et al., 2011).