Nuovo studio multicentrico su pazienti parkinsoniani trattata con dieta chetogenica
Oggi è la giornata mondiale della alimentazione 2019.
Cosa ci fa questo appuntamento sulla bacheca di un fisiatra?
Vi propongo un mio articolo, uscito un paio di anni fa, su come la dieta chetogenica possa influenzare la riabilitazione e come se ne possono valutare in modo obiettivo i risultati.Può la dieta chetogenica migliorare il trattamento riabilitativo in alcune patologie?
Leggiamo e discutiamone.
Come è ormai noto, la dieta chetogenica, applicata sin dal lontano 1921 negli USA per il trattamento dell’epilessia farmaco-resistente, è diventata anche in Italia un trattamento di prima linea laddove i farmaci anticonvulsivi non sono più efficaci.
Tale dieta consiste in un apporto estremamente ridotto in carboidrati, elevato in grassi e normale in proteine.
Negli ultimi 20 anni questo approccio si è dimostrato essere efficace nel trattamento di patologie quali epilessia, morbo di Alzheimer, morbo di Parkinson, sclerosi laterale amiotrofica, obesità, diabete di tipo I e II, dolore e processi infiammatori in generale, trauma cranico ed alcuni tra i tumori più invasivi.
Tali risultati sono stati osservati in un primo momento negli animali, e poi sull’uomo. Nel dettaglio, questa dieta promuove il consumo di alcuni tipi di grassi, come gli Omega 3 ed Omega 6 del pesce, quelli della carne, uova, formaggi, frutta secca, olio di oliva e di cocco, eliminando quasi del tutto zuccheri semplici e complessi.
Da un punto di vista terapeutico, la neuro-protezione che scaturisce dallo stato metabolico della chetosi è la chiave che sostiene l’impiego sperimentale del regime alimentare in diverse patologie a carattere neurologico. Recentemente sono stati pubblicati (prettamente negli USA) alcuni casi clinici di approccio al morbo di Parkinson tramite dieta chetogenica, casi in cui si è riuscito a rallentare considerevolmente la neurodegenerazione cognitiva e motoria dei pazienti. Per semplificare, la neuro-protezione si espleta principalmente tramite tre meccanismi:
- modulazione di citochine e chemochine che causano l’infiammazione
- riduzione della proliferazione dei linfociti
- riduzione dello stress ossidativo
Negli ultimi dieci anni, la letteratura scientifica a sostegno delle proprietà benefiche della dieta chetogenica a carico del sistema nervoso è aumentata considerevolmente, lasciando tuttavia dei campi ancora inesplorati. Valutati nel loro insieme, i dati sperimentali ci portano a sostenere che lo stato metabolico della chetosi potrebbe essere di ampio beneficio in pazienti affetti dal morbo di Parkinson, agendo da stabilizzante bioenergetico, anche grazie all’assorbimento della L-Dopa.
Inoltre, studi su modelli animali hanno evidenziato come uno dei metaboliti che si generano in corso di questo regime dietetico, il beta-idrossibutirrato, riduca la perdita di neuroni nella sostanza nigra e faccia aumentare il consumo di ossigeno nei mitocondri.
Qualche mese fa, un’equipe medico-sanitaria si è riunita presso il reparto di neurologia di Villa Margherita a Benevento ed ha valutato la possibilità di reclutare un pool di pazienti parkinsoniani al fine di studiare l’impatto del suddetto regime alimentare sulla progressione della patologia. Il team, capeggiato dal Dr. Alessandro Ciarimboli (Fisiatra) e composto dai Drs. Giuseppe Matarazzo (Fisiatra), Luca De Lipsis (Neurologo), Walter Di Iorio (Neurologo), Raffaele Pilla (Farmacista e ricercatore in nutrizione), Alfonso Rubino (Neurologo), Angela Vardaro (Neuropsicologa) e Cristina Perillo (Dietista) ha inoltre stabilito i criteri di ammissione allo studio, che vedrà infatti arruolati solo pazienti in fase iniziale ed intermedia della patologia (valutati secondo il metodo standardizzato della scala di Hoehn e Yahr).
Di ogni paziente saranno raccolti i dati demografici ed anamnestici, da quanto tempo sono affetti dalla patologia, il loro peso, altezza e indice di massa corporea. I criteri di esclusione principali saranno: stadi avanzati della malattia, utilizzo di Duodopa® (un gel a somministrazione intestinale continua a base di levodopa e carbidopa, somministrato per infusione intestinale), stitichezza acuta, comorbidità neurodegenerative o disturbi psichiatrici, precedenti di abuso di alcool o droghe, casi di trauma cranico, patologie a carattere cardiovascolare, epilessia concomitante e gravi segni di depressione.
Anche i pazienti diabetici saranno esclusi dallo studio. I pazienti ammessi, saranno poi valutati per qualità della vita e scala dei sintomi non motori tramite analisi del movimento.
Gli stessi verranno in seguito sottoposti ad estesa valutazione cognitiva e neuropsicologica. In aggiunta, saranno raccolti campioni di sangue per valutare emocromo, glicemia basale, indici di funzionalità epatica e renale, assetto lipidico, protidogramma, dosaggio della vitamina B12, folati ed omocisteina.
Alla fine, una delle analisi più importanti sarà quella della chetonemia (la concentrazione di corpi chetonici nel sangue), valore che confermerà se i pazienti si stanno nutrendo in maniera corretta o meno.
Nello specifico, a tutti i pazienti selezionati sarà somministrata una dieta chetogenica normo-calorica con un rapporto di 3:1 (quota di acidi grassi diviso la somma delle proteine combinate ai carboidrati).
Il fabbisogno calorico verrà calcolato secondo il metabolismo basale ed il livello di attività fisica quotidiana di ciascun paziente. Inoltre, a tutti i pazienti saranno somministrati integratori multivitaminici e minerali senza zucchero, in base all’età ed al sesso del paziente. In caso di costipazione, verranno assunti lassativi osmotici.
Tutti i pazienti saranno periodicamente sottoposti ad un esame clinico (cadenza bisettimanale) per prevenire un eventuale malnutrizione derivante da una dieta sbilanciata. Contestualmente saranno controllati i livelli di chetonemia per valutare eventuali cambiamenti inaspettati.
Alla fine dello studio, che durerà tre mesi, saranno valutati stato neuro-cognitivo e funzionale dei pazienti al fine di constatare se e quanto la dieta chetogenica sia stata di beneficio.